Case e Ospedali di Comunità, la posizione della FIMMG

Riguardo al tema degli Ospedali e delle Case di Comunità, ecco la posizione del dottor Alessandro Dabbene (foto), componente dell’Esecutivo Nazionale della FIMMG (Federazione Italiana Medici di medicina Generale): “Sul tema Case della Comunità e Ospedali della Comunità l’unica certezza a oggi è la disponibilità di risorse economiche per realizzare o ridefinire i muri delle strutture individuate proprio in questi giorni dalle Regioni: è emblematico che un indicatore richiesto dal Governo sia l’indirizzo e il numero civico di ogni nuova struttura, a indicare la necessità di identificare con precisione un luogo fisico. Su tutto il resto, ovvero gli elementi di novità e di miglioramento rispetto ai modelli attualmente esistenti, il personale impiegato, le attività svolte, i risultati attesi, ci sono solo alcune ipotesi descritte più da slogan come ‘integrazione multiprofessionale’ che non da progetti sanitari o sociosanitari veri e propri. Soprattutto non è per nulla chiaro il ruolo di chi FIMMG rappresenta, i medici di medicina generale, definiti figura chiave per le attività della Casa della Comunità, ma rispetto ai quali il dibattito che sembra prevalere è l’inquadramento contrattuale cui subordinarli. Come associazione professionale abbiamo più volte espresso che la Casa della Comunità rappresenti un luogo in cui il medico di famiglia possa intervenire per attività integrative oltre a quelle dell’attuale modello, che è rappresentato dalla capillarità della presenza dei medici nel Paese attraverso cinquantamila studi professionali prossimi ai cittadini. Una partecipazione dei medici reale ma anche virtuale, funzionale, attraverso il collegamento in rete degli studi che rappresentano loro stessi le case della comunità ‘spoke’ in connessione con la casa della comunità ‘hub’ di cui oggi si sta finanziando l’edilizia. L’obiettivo è garantire la continuità della presa in carico dei pazienti affetti da patologie croniche, dei pazienti fragili e dei soggetti con problematiche anche sociali, con un’azione interdisciplinare sicuramente oggi carente e frammentaria non per l’assenza di luoghi fisici di incontro (i distretti sono pieni di stanze vuote), ma di percorsi condivisi e integrati. Più chiaro l’obiettivo degli Ospedali di Comunità essendo già diffuse le realtà di “strutture intermedie” di cui attraverso il PNRR si vogliono incrementare i posti letto, per quei pazienti che dopo una dimissione ospedaliera precoce attendono fino a 30 giorni che si definisca il successivo percorso domiciliare o residenziale. Non sembra al momento che la figura del medico di famiglia sia coinvolta in questo progetto, non essendoci in Legge di Bilancio alcun finanziamento per medici convenzionati per gli Ospedali di Comunità, e questo stona con la presenza di realtà simili in tutta Italia dove il medico di medicina generale già garantisce questa forma di assistenza, molto simile dal punto di vista dell’intensità di cura a quella di una Rsa. In ogni caso, vediamo favorevolmente ogni progetto di continuità ospedale-territorio, rispetto a dimissioni selvagge che sanno di abbandono del paziente più che di un accompagnamento nel territorio. Siamo però perplessi sulla definizione di ospedali, perché si rischia di dare ai cittadini aspettative di intensità di cure che nulla hanno a che vedere con quelle offerte nelle degenze ospedaliere per acuti: ancora una volta la definizione del contenitore sembra prevalere su quella del contenuto”. 

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