Case di Comunità, simbolo della tutela e della promozione della salute della Comunità Locale

Riguardo al controverso tema delle Case e degli Ospedali di Comunità, abbiamo raccolto il parere del dottor Antonino Trimarchi (foto), specialista in Igiene e Medicina Preventiva, membro del Direttivo di Parkinson Italia, nonché responsabile del Centro Studi Card (Confederazione Associazioni Regionali Distretti) Italia, area Integrazione: “Le Case di Comunità sono le ‘eredi’ delle poche Case della Salute presenti in Italia, che a loro volta avevano raccolto il testimone delle vecchie Medicine di Gruppo Integrate, che nelle varie Regioni erano chiamate in modo diverso. Queste strutture, in cui dovrebbero trovar posto medici, infermieri, personale amministrativo e dei servizi sociali, dovrebbero costituire anche una centrale operativa territoriale, con funzioni non solo sanitarie, ma anche sociali; insomma, dovrebbe essere il simbolo logistico dell’accesso all’assistenza territoriale. Al loro interno dovrebbe essere presente anche la Cot (Centrale Operativa Territoriale), il numero ‘advocacy’ della salute territoriale. In sintesi, le Case della Salute non dovrebbero essere solo muri, ma punti di collegamento con gli ambulatori dei medici di base, con gli infermieri, con la riabilitazione e con le associazioni del territorio. Gli Ospedali di Comunità, dovrebbero invece andare a prendere il posto dei vecchi Ospedali di rete, chiamati anche Spoke. Tali strutture dovrebbero costituire non solo una tappa intermedia per i pazienti che dopo le dimissioni dall’Ospedale per acuti, ma anche nel percorso inverso, quello che da casa porta eventualmente all’Ospedale per acuti, costituendo così una sorta di ‘rinforzo’ delle cure domiciliari. Se così non fosse, non si rivelerebbero altro che lo ‘spostamento’ delle lungodegenze al di fuori degli Ospedali per acuti. È fondamentale che le regole di accesso agli Ospedali di Comunità siano ben definite: a gestirle dovrebbero essere i distretti, non gli Ospedali per acuti.

Non da ultimo, è auspicabile che Rsa, Assistenza Domiciliare Integrata e Ospedale di Comunità lavorino in rete. Dovrebbero rappresentare infatti i vertici di un triangolo virtuoso a tutela delle persone fragili e non autosufficienti. In particolare, le Rsa dovrebbero essere luoghi di riabilitazione delle capacità residue e in cui fornire cure appropriate fino alle palliative, facendo quello che c’è da fare anche quando non c’è più nulla da fare”.

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